Giappichelli.eu

2. I REGIMI DI DEPOSITO NELL’UE
L’enorme sviluppo degli scambi internazionali e la diffusione su scala sem- pre più ampia dei processi di delocalizzazione produttiva, hanno fatto sorge-re per le imprese la necessità sempre più pressante di disporre di idonee in-frastrutture atte a consentire la movimentazione, il deposito, l’eventuale manipolazione od il perfezionamento delle merci sia in arrivo che in parten-za, e questo non solo all’interno del Paese in cui esse sono stabilite, ma an-che negli altri paesi nei quali operano. A questa esigenza rispondono i vari regimi di deposito previsti dalle legi- slazioni comunitaria e dei singoli Stati membri. I regimi di deposito regolamentati a livello comunitario si riconducono a due istituti principali: i depositi doganali, vero e proprio regime doganale
(vedasi il paragrafo successivo), il quale è regolato in maniera uniforme a livel-
lo comunitario dalle disposizioni del Codice Doganale Comunitario (Reg.
n. 2913 del 1992) e relative Disposizioni di Applicazione (Reg. n. 2425 del
1993), ed i depositi fiscali, i quali a loro volta si articolano in diverse tipolo-
gie, tra cui le più importanti sono senz’altro i depositi fiscali ai fini accise ed
i depositi fiscali ai fini IVA (o “depositi IVA”).
Mentre però i depositi doganali ed i depositi accise esistono in ogni Paese comunitario, non in tutti gli Stati membri sono stati istituiti i depositi IVA. La tabella in basso indica in maniera sintetica quali Stati membri hanno provveduto a tale istituzione e quali no. Il deposito doganale è il regime doganale 1 che consente l’immagazzina- mento in un determinato luogo (il quale, ai sensi degli artt. 98, comma 2 e 1 La regolamentazione doganale comunitaria non dà una definizione di “regime dogana- le”. Il Codice Doganale Comunitario si limita infatti ad elencare tali regimi (art. 4, punto 16), suddividendoli in due categorie: “regimi sospensivi” e “regimi economici” (art. 84), senza chiarire quale sia la differenza tra i due tipi. Quello di “regime doganale economico”, in particolare, è un concetto di creazione relativamente recente, introdotto in quanto la bi-partizione tradizionale “regimi definitivi” – “regimi sospensivi” non permetteva di classifi- 99 del Reg. n. 2913 del 1992, può essere sia pubblico che privato purché, in questo secondo caso, sia autorizzato dall’autorità doganale e sottoposto al suo controllo), delle seguenti tipologie di merci: – merci non comunitarie (in tal caso la collocazione nel deposito dogana-
le sospende sia l’obbligo di pagamento dei diritti doganali 2 , che delle misure di politica commerciale cui le merci sono eventualmente sottoposte 3 , e – delle merci comunitarie per le quali v’è una specifica normativa co-
munitaria che consente tale immagazzinamento (art. 98, comma 1, Reg. n. 2913 del 1992). Il deposito doganale, classificato dal Codice Doganale Comunitario tra i regimi doganali c.d. “economici” 4 , ancor prima dell’emanazione del Reg.
n. 2913 del 1992 era utilizzato con denominazioni diverse da alcuni Stati
membri della Comunità, alcuni dei quali lo adottavano fin dall’antichità. È
il caso ad esempio della Francia, dove l’istituzione del regime di “deposito
all’importazione” risale addirittura nel 1664 ed in cui attualmente sono pre-
visti due regimi di deposito doganale, riservati rispettivamente alle importa-
zioni
ed alle esportazioni, i cui obiettivi ed effetti differiscono profonda-
care anche quei regimi previsti dalla legislazione doganale comunitaria i quali rispondevano a finalità puramente economiche, ossia di pura incentivazione dei traffici commerciali, senza generare alcun effetto sospensivo fiscale e non classificabili a rigore come “regimi definitivi”. Allo stato attuale dunque esistono, accanto ai: 1) regimi definitivi (esportazione ed immis-sione in libera pratica); 2) regimi aventi sia carattere sospensivo che economico (es. ammissio-ne temporanea, deposito doganale, trasformazione sotto controllo doganale e perfeziona-mento attivo nella funzione “sospensione”) e 3) regimi economici puri, ossia che svolgono una pura funzione di incentivazione del commercio, senza produrre alcuna sospensione d’imposta (es. perfezionamento passivo e perfezionamento attivo, nella funzione “rimbor-so”). Per un approfondimento, vedasi C.J. Berr, B. Tremeau, Le droit douanier communau-taire et national, in Economica, 6a ed., 2004, p. 252 ss. 2 L’art. 98 CDC parla in realtà di sospensione dei soli “dazi d’importazione”. Tale regi- me è tuttavia utilizzato nella pratica anche per sospendere il pagamento dell’IVA. In tal ca-so, l’obbligo di versare il tributo viene differito al momento dell’importazione definitiva nel Paese di destinazione finale della merce in deposito. L’IVA, anziché essere pagata in dogana, viene registrata a debito e a credito sui registri IVA dell’operatore, in attesa che il tributo venga corrisposto materialmente all’atto della vendita della merce. 3 Le misure di politica commerciale sono definite dal punto 7 dell’art. 1 delle DAC (Reg. n. 2454 del 1993) come quelle misure diverse dalle tariffarie (es. dazi), stabilite nel quadro della politica commerciale comune dalle disposizioni comunitarie applicabili alle importazioni ed alle esportazioni di merci. Fra esse rientrano le misure di sorveglianza o di salvaguardia, le restrizioni o i limiti quantitativi e i divieti all’importazione o all’esportazione. mente, nonostante il loro funzionamento sia assai simile. Un altro caso è co-stituito dal Portogallo, dove il deposito doganale (entreposto aduaneiro) è sta-to istituito fin dal 1966, ad opera del decreto legge n. 37 del 1966 (artt. da 89 a 91). Inizialmente concepito solo per le merci importate, tale regime si è venuto successivamente ad articolare in diverse tipologie: dal deposito doga-nale all’importazione, al deposito doganale all’esportazione, con quest’ultimo a sua volta distinto in deposito doganale comune (disponibile a chiunque, per-sona fisica o giuridica, desideri depositare temporaneamente la propria mer-ce in sospensione d’imposta, in attesa di destinarla ad un mercato estero) e straordinario (utilizzabile solo dagli esportatori o dalle Trade Companies e consistente nella possibilità di immagazzinare temporaneamente le proprie merci in un recinto di uso privato, al fine di beneficiare di particolari incen-tivi fiscali connessi all’esportazione delle stesse). Al termine di una lunga evoluzione storica, negli anni che seguirono la realizzazione del Mercato Comune, si ritenne che la diversità delle discipline nazionali regolanti questo particolare istituto doganale, rischiavano di pro-vocare vere e proprie distorsioni di traffico a vantaggio di alcuni stati mem-bri. Per porre fine a tale inconveniente, fu così deciso di elaborare una Di-rettiva (Direttiva del Consiglio 4 marzo 1969, n. 69/74, in G.U.C.E. n. L 58, p. 7), avente per oggetto l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti il regime del deposito doga-nale 5 . Ma poiché la suddetta Direttiva lasciava ancora un ampio potere di ap- prezzamento alle autorità doganali nazionali circa le modalità di attuazione e di utilizzazione dell’istituto all’interno del proprio territorio, e quindi non forniva alcuna garanzia di applicazione uniforme, nel 1988 si decise di adot-tare un Regolamento direttamente applicabile negli Stati membri 6 che di-sciplinasse il regime di deposito doganale in maniera uniforme, regolamen-tazione che è stata poi successivamente trasfusa all’interno del Codice Do-ganale Comunitario 7 . I regimi di deposito doganali dunque, sono stati inizialmente ed a lungo 5 Tale Direttiva disponeva all’art. 2 che il regime dei depositi doganali comporta la non riscossione dei dazi doganali, delle tasse di effetto equivalente e dei prelievi agricoli durante la permanenza delle merci nei depositi. 6 Si tratta del Regolamento (CEE) n. 2503/88 del Consiglio, del 25 luglio 1988, succes- sivamente modificato dal Regolamento (CEE) n. 2561/90. 7 C.J. Berr, B. Tremeau, Le droit douanier, cit., p. 274 ss. riservati alle sole merci estere importate. Concepiti all’epoca in cui la politi-
ca doganale non aveva altra preoccupazione che quella di assicurare la prote-
zione delle produzioni nazionali contro la concorrenza estera, essi avevano
per unico fine la sospensione dell’applicazione dei meccanismi di protezione
(in specie le misure di politica commerciale), al fine di favorire l’ingresso e la
circolazione di quelle merci che per necessità tecniche o economiche necessi-
tavano di rimanere temporaneamente in attesa prima che avvenisse la loro
introduzione definitiva all’interno dei circuiti commerciali o di fabbricazione.
Solo in epoca relativamente recente, quando il fine della facilitazione de- gli scambi è venuto a prevalere rispetto a quello di quello della protezione
dei mercati nazionali, divenendo obiettivo privilegiato della politica econo-
mica comunitaria, si è preso finalmente coscienza dei vantaggi di cui l’eco-
nomia poteva beneficiare se il regime del deposito doganale potesse essere
ammesso anche per le merci del mercato interno destinate all’esportazione.
Pertanto, sebbene il regime del deposito doganale sia stato concepito in origine per la sola introduzione di quelle merci non comunitarie la cui de-
stinazione finale non era ancora conosciuta al momento dell’importazione
(oppure la cui immissione in consumo era differita rispetto all’immissione in
libera pratica), esso è stato successivamente utilizzato anche per stoccarvi al-
cuni tipi di merci comunitarie, al fine di consentire agli operatori di benefi-
ciare del vantaggio della sospensione di dazi e delle misure commerciali alle
quale le stesse erano assoggettate. Si tratta, in quest’ultimo caso, essenzial-
mente dei prodotti della Politica Agricola Comune (PAC) che beneficiano
del regime di prefinanziamento 8 delle restituzioni.
Oggi quindi, lo strumento in questione consente lo stoccaggio delle sud- dette merci senza che queste siano soggette a dazi doganali, ad accise, ad IVA, alle misure di politica commerciale ed alle imposizioni derivanti dall’applica-zione della politica agricola comune dell’UE 9 . 8 Ai sensi dell’art. 524 delle DAC, per merci con prefinanziamento si intendono quelle merci comunitarie destinate ad essere esportate tal quale, fruendo del pagamento anticipato di un ammontare pari alla restituzione all’esportazione. Tale pagamento è previsto dal Re-golamento (CEE) n. 565 del 1980 del Consiglio. 9 Restano tuttavia fermi i divieti e le restrizioni giustificate da ragioni di sicurezza pub- blica, di protezione della salute e della vita delle persone e degli animali e di tutela delle spe-cie vegetali. 2.1.1. La disciplina dei depositi doganali nel Codice Doganale Comu- Le disposizioni che regolano il deposito doganale sono contenute agli artt. da 98 a 113 del Codice Doganale Comunitario (CDC). Altre disposizioni di dettaglio sono contenute negli artt. da 499 a 523 e da 524 a 535 del Reg. n. 2454 del 1993, recante le Disposizioni di Applicazione del Codice Doganale Comunitario (DAC), nonché, per quanto riguarda il diritto italiano, agli artt. 55, da 149 a 155 e 160 del Testo Unico delle Leggi Doganali (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43). La regolamentazione del regime del deposito doganale è piuttosto com- plessa. Innanzitutto, come avviene per tutti i regimi doganali economici, ai
fini della sua utilizzazione è richiesta una specifica autorizzazione dell’auto-
rità doganale competente per territorio, la quale viene concessa solo a chi of-
fre adeguate garanzie, le quali sono necessarie al fine di assicurare l’ordinato
svolgimento delle relative operazioni.
Il compito principale del depositario (ossia il soggetto autorizzato a gesti-
re il deposito doganale), è quello di garantire che le merci custodite non sia-no sottratte alla sorveglianza doganale durante tutto il periodo della loro permanenza in deposito. La prova dell’ingresso, e della successiva uscita, del-le merci vincolate al regime in questione è tenuta per il tramite di apposita contabilità di magazzino relativa alle merci oggetto di vincolo. Il CDC, in particolare, classifica i depositi doganali in due tipologie prin- 1. pubblici;
2. privati.
La differenza tra i due tipi sta essenzialmente nel fatto che, come precisa l’art. 99 CDC, i primi possono essere liberamente utilizzati da chiunque per l’immagazzinamento delle merci, mentre nel secondo caso il deposito è de-stinato unicamente ad immagazzinare merci di proprietà del depositario. Per quanto riguarda invece il soggetto che si occupa della gestione dei de- positi doganali, questo può essere l’autorità pubblica oppure un privato in re-
gime di concessione pubblica. Affinché un privato possa gestire il deposito
doganale infatti, gli viene richiesto il possesso di un’apposita autorizzazione 10
la quale è rilasciata dall’autorità doganale dietro costituzione di un’apposita 10 Per quanto riguarda le modalità di rilascio di tale autorizzazione, vedasi gli artt. 526 e garanzia (per quanto riguarda la normativa italiana, vedasi gli artt. 87 e 150, comma 3, del TULD, i quali prevedono, prima ancora dell’attivazione del deposito doganale, l’obbligo di prestare idonea garanzia, a meno che si renda applicabile l’art. 90 del TULD il quale regola le possibilità di esonero) 11 A loro volta, ciascuna delle suddette categorie di depositi si distingue in altri 3 tipi (art. 525 delle DAC). I depositi pubblici possono essere infatti:
1. di tipo A: si tratta di depositi utilizzabili da chiunque per immagazzi-
nare merci sotto la responsabilità del depositario (è ad es. il classico deposito nei magazzini generali). Il monitoraggio da parte dell’autorità doganale vie-ne effettuato in questo caso mediante il controllo delle scritture contabili del depositante. 2. di tipo B: parimenti al tipo A, sono utilizzabili da chiunque per imma-
gazzinare le proprie merci. La responsabilità ricade però in questo caso su
ciascun depositante.
3. di tipo F: si tratta di depositi gestiti direttamente dalle autorità doganali
(è il classico deposito doganale sotto diretta custodia della dogana). Fra i depositi privati, invece, si distingue, a seconda delle modalità relati-
ve all’entrata ed all’uscita delle merci, fra: 1. depositi di tipo D: sono uguali al tipo C tranne che per gli elementi di
tassazione (specie, valore in dogana e quantità) da prendere in considerazio-ne all’atto dell’immissione delle merci in libera pratica o in consumo, che sono quelli riconosciuti o ammessi al momento del vincolo della merce al regime di deposito doganale; 2. depositi di tipo E: anche questa forma di deposito è simile al tipo C,
dal quale se ne distingue per il fatto che in esso non è necessario immagazzi-
nare le merci in un determinato locale predeterminato, essendo possibile de-
tenere le stesse ovunque sul territorio nazionale e comunitario 12
virtuale”), in sospensione di dazio e della fiscalità interna (IVA ed accise). Il 11 Vedasi in proposito la Circolare dell’Agenzia delle Dogane 21 gennaio 2005, n. 3/D. Per quanto riguarda le modalità di costituzione della garanzia, questa è fissata dal Ricevitore della Dogana competente ovvero dal responsabile dell’Area Gestione Tributi dell’Ufficio delle Dogane, ove istituito, sulla base della presumibile entità dei diritti doganali relativi alle merci da movimentare nell’arco di un anno, e va comunicata alla competente Direzione regionale delle Dogane. 12 V’è addirittura la possibilità di stoccare le merci in più siti posti in diversi Paesi co- munitari, sotto la copertura di un’unica contabilità ed eleggendo un’unica autorità dogana-le, preventivamente scelta, come destinataria della comunicazione in oggetto. responsabile del deposito deve tuttavia essere in grado di indicare in qualsiasi momento all’ufficio doganale di controllo, l’esatta ubicazione della merce. A tal fine gli è richiesto in genere di adottare un apposito sistema informatico che gestisca la contabilità e la logistica relativa alle merci in deposito. 3. depositi di tipo C: sono riservati all’immagazzinamento di merci allo
stato estero da parte del depositario (il quale in questa tipologia di deposito coincide con il depositante), sul quale ricade la responsabilità del deposito. Il depositante/depositario tuttavia, non necessariamente deve essere proprieta-rio della merce immagazzinata in deposito. Le varie tipologie di deposito doganale di cui sopra si distinguono dun- que fra di loro in base al soggetto che se ne assume la relativa responsabilità (a seconda dei casi, il depositario o ciascun depositante) od in base al tipo di contabilità di magazzino utilizzata, ed al soggetto che deve occuparsene (il quale, nei depositi del tipo A, C, D ed E è il depositario; nei depositi doga-nali di tipo F invece, le scritture doganali tenute dall’ufficio doganale che ge-stisce il deposito sostituiscono la contabilità di magazzino; mentre nel caso dei depositi doganali di tipo B, l’ufficio di controllo conserva le dichiarazio-ni di vincolo al regime in sostituzione della contabilità di magazzino). 2.1.2. La disciplina sui depositi doganali nel Testo Unico delle Leggi La disciplina sui depositi doganali contenuta nel codice doganale è inte- grata in Italia dal Testo Unico delle Leggi Doganali (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), il quale dedica a tale istituto gli artt. da 149 a 162. A seconda del modo con cui le merci possono essere introdotte in deposi- to, il TULD distingue a sua volta tra due categorie di depositi: 1. depositi che possiamo definire “propri”, quando ai fini dell’introdu-
zione delle merci al loro interno è richiesta un’apposita dichiarazione doga-nale, e; 2. depositi “impropri”, quando è sufficiente la presentazione dei docu-
menti in arrivo, quali la dichiarazione sommaria, senza visita preventiva da parte della dogana 13 13 L. Lombardi, Manuale di tecnica doganale e commercio estero, Franco Angeli, Milano, – i depositi sotto diretta custodia della dogana; – i depositi concessi dalla dogana in affitto a privati; – i depositi di proprietà privata; – i depositi nei magazzini generali. Nei depositi impropri rientrano invece i depositi di temporanea custodia ed i depositi nelle zone franche e nei punti franchi. Per quanto riguarda le manipolazioni che sono consentite all’interno del deposito, la disciplina del TULD ricalca sostanzialmente quella del CDC. L’art. 152 del TULD (Manipolazioni consentite) stabilisce infatti che le merci immesse nei depositi doganali possono formare oggetto delle manipolazioni usuali destinate ad assicurarne la conservazione ovvero a migliorarne la pre-sentazione o la qualità commerciale. Tale articolo, in più, aggiunge che “l’e-lenco delle dette manipolazioni è stabilito dal Ministero delle finanze in con-formità delle disposizioni adottate dal Consiglio delle Comunità europee”, salvo comunque il diritto, per il Ministero delle finanze, di consentire, in casi del tutto particolari, che le merci depositate nei magazzini doganali privati ed in quelli ad essi assimilati formino oggetto di trattamenti diversi dalle manipo-lazioni usuali di cui sopra, alle condizioni prescritte per la temporanea im-portazione (art. 152, comma 2, TULD). Per quanto riguarda infine le modalità di determinazione del valore im- ponibile delle merci depositate nei magazzini doganali che vengono dichia-rate per l’importazione definitiva, l’art. 155 del TULD richiama le disposi-zioni particolari stabilite dall’art. 10, par. 2, della Direttiva del Consiglio n. 69/74/CEE del 4 marzo 1969, anche se incompatibili con le disposizioni preliminari alla tariffa dei dazi doganali di importazione. Dal deposito doganale, che come si è visto costituisce un regime dogana-
le vero e proprio il quale è assoggettato, nelle varianti che sono state analiz-zate al paragrafo precedente, ad una disciplina comune armonizzata a livello 14 In tali magazzini le merci estere vengono introdotte e custodite in attesa che il pro- prietario ne dichiari la destinazione doganale. comunitario (contenuta nel Reg. n. 2913 del 1992 e relativo regolamento di
attuazione, Reg. n. 2454 del 1993), occorre tenere distinti i depositi fiscali,
istituti regolati in maniera sostanzialmente differente da ciascuno stato mem-
bro, sebbene sulla base di principi comuni stabiliti da apposite Direttive
comunitarie, essendo mancante una disciplina uniforme a livello comunita-
rio relativa a tali strumenti, come invece avviene nel caso del deposito doga-
nale.
I depositi fiscali possono essere classificati in due tipologie principali: 1. depositi IVA e
2. depositi accise.
Va tuttavia precisato che nella pratica spesso i depositi fiscali coincidono con i depositi doganali (in tal caso si verifica un effetto sospensivo comples-sivo della fiscalità comunitaria e nazionale gravante sui beni introdotti nel deposito stesso), così come spesso accade che i depositi accise assolvano an-che alla funzione di depositi IVA. Per quanto riguarda la possibilità di adibire a deposito IVA anche i depo- siti doganali, va tuttavia precisato che tale possibilità è riconosciuta, in Italia, solo per i depositi dei tipi A, C, D e (se sussistono certe condizioni) E. Non possono quindi essere adibiti a deposito IVA né i depositi di tipo B (in quanto in questa particolare tipologia non è prevista la figura del depositario e non vi è l’obbligo di istituire una apposita contabilità); né quelli di tipo F (in quanto si tratta di depositi doganali pubblici gestiti dall’autorità dogana-le sotto la sua responsabilità). Nel caso invece di deposito doganale del tipo “E”, ai fini della sua utiliz- zazione anche come deposito IVA, è richiesto che venga fornita alle autorità competenti la prova dell’esistenza di locali idonei per la custodia delle merci, così come è necessario il ricorso ad opportuni accorgimenti contabili che permettano la corretta individuazione delle merci ove nei locali adibiti a de-posito siano contemporaneamente presenti beni vincolati al regime di depo-sito doganale e beni vincolati al regime di deposito IVA. In ciò, come si ve-drà, si ravvisa una delle principali differenze rispetto ad altri Paesi comunita-ri, dove si registra una maggiore diffusione dell’uso dei depositi doganali del tipo “E” anche come depositi IVA, in tal caso senza che sia necessario prede-terminare necessariamente i locali in cui stoccare le merci. 2.2.1. La Direttiva 112/2006/CE ed i “depositi diversi da quelli doga- La VIa Direttiva IVA (Direttiva del Consiglio 77/388/CEE del 17 maggio 1977, recante “Armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore ag-giunto. Base imponibile uniforme”), nonostante le numerose modifiche su-bite a seguito della sua introduzione, ha costituito a lungo il perno del com-plesso corpus legislativo della normativa comunitaria in materia di IVA, frutto a sua volta di un lungo processo di stratificazione normativa avvenuto nell’arco di circa un trentennio. Recentemente tale Direttiva è stata abrogata e sostituita dalla Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, la quale ha realizzato un’importante opera di consolidazione della normativa comunitaria in ma-teria di IVA. Tale Direttiva, di fatto, introduce solo poche modifiche sostan-ziali alla normativa preesistente, limitandosi più che altro a riorganizzare in maniera più coerente e sistematica la complessa disciplina comunitaria in materia di IVA. La VIa Direttiva IVA, per la precisione, faceva riferimento ad una partico- lare tipologia di depositi, definiti “diversi da quelli doganali”, la quale ricom-prendeva, oltre ai depositi IVA, anche i depositi accisa. Tale nozione è stata successivamente trasfusa nelle nuova Direttiva 112/2006/CE, la quale all’art. 154 precisa che tali depositi si distinguono a seconda del tipo di beni che possono essere stoccati al loro interno, i quali possono essere essenzialmente di due tipi: 1. beni soggetti ad accisa e;
2. beni non soggetti ad accisa.
Relativamente alla prima tipologia di beni, la Direttiva 112/2006/CE fa rinvio alla Direttiva 92/12/CEE, stabilendo che si considerano depositi di-versi da quelli doganali con riferimento ai beni soggetti ad accisa (e quindi come depositi ai fini accisa), tutti quei luoghi di cui all’art. 4, lett. b), della Direttiva 92/12/CEE e cioè quei luoghi “in cui vengono fabbricate, trasforma-te, detenute, ricevute o spedite dal depositario autorizzato, nell’esercizio della sua professione, in regime di sospensione dei diritti di accisa, merci soggette ad accisa, a determinate condizioni fissate dalle autorità competenti dello Stato membro in cui è situato il deposito fiscale in questione. Per i beni non soggetti ad accisa, viceversa, la Direttiva 112/2006/CE (che
riprende una disposizione precedentemente contenuta all’art. 28-quater della VIa Direttiva), lascia i singoli Stati membri liberi di identificare come “depo-siti diversi da quelli doganali ” i luoghi che ritengono a tal fine idonei, in base alle loro particolari esigenze 15 . In questa categoria di depositi rientrano per- tanto il deposito IVA ed altre categorie di depositi fiscali diversi da quelli ai fini accise. La suddetta imprecisione terminologica spiega come mai i vari Stati membri abbiano adottato terminologie diverse per identificare i depo-siti ai fini IVA ed accise. La Direttiva 112/2006/CE, come già faceva la VIa Direttiva, conferma pertanto la possibilità per gli Stati membri di costituire regimi di deposito
diversi da quello doganale, regolato dal Codice Comunitario, salvo il divieto
posto all’art. 157, par. 2 della Direttiva stessa di istituirli, relativamente ai
beni non soggetti ad accisa, quando detti beni sono destinati ad essere ce-
duti allo stadio del commercio al minuto.
L’art. 158 fissa altresì una serie di
deroghe a tale disposizione, ammettendo la possibilità di prevedere regimi di
deposito diverso da quello doganale ed in cui i beni depositati possono esse-
re ceduti allo stadio del commercio al minuto, relativamente alle seguenti
tipologie di beni:
a) beni destinati a punti di vendita in esenzione da imposte (es. duty free , ai fini delle cessioni di beni destinati ad essere trasportati nel baga- glio personale di un viaggiatore che si reca in un territorio terzo o in un pae-se terzo, con un volo o una traversata marittima, e che sono esenti a norma dell’art. 146, par. 1, lett. b), della Direttiva 112/2006/CE; b) beni destinati a soggetti passivi ai fini delle cessioni da questi effettuate a viaggiatori a bordo di un aereo o di una nave, durante un volo o una tra-versata marittima il cui luogo di destinazione è situato fuori della Comunità; c) beni destinati a soggetti passivi ai fini delle cessioni da questi effettuate in esenzione dall’IVA a norma dell’art. 151 della Direttiva 112/2006/CE. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 155 e 157 della Direttiva 112/2006/CE, gli Stati membri, fatte salve le altre disposizioni fiscali comu- 15 Art. 154, Direttiva 112/2006/CE: “Ai fini della presente sezione, […], per i beni non soggetti ad accisa, si considerano depositi diversi da quelli doganali i luoghi definiti tali dagli Stati membri. 16 Per “punto di vendita in esenzione da imposte” deve intendersi qualsiasi esercizio ubica- to nell’area di un aeroporto o di un porto e che soddisfi le condizioni previste dalle compe-tenti autorità pubbliche. nitarie e con riserva della consultazione del comitato IVA 17 re misure particolari per esentare da IVA le importazioni di beni destinati ad essere vincolati ad un regime di deposito diverso da quello doganale e le ces-sioni di beni destinati ad essere vincolati, nel loro territorio, ad un regime di deposito diverso da quello doganale, od alcune di tali operazioni, a condi-zione che le stesse non mirino all’utilizzazione od al consumo finale delle merci che ne sono oggetto, e che l’importo dell’IVA dovuta al momento del-lo svincolo dai regimi o dell’uscita dalle situazioni di cui alla sopra indicata sezione corrisponda all’importo dell’imposta che sarebbe stata dovuta se ognuna di tali operazioni fosse stata soggetta ad imposta nel loro territorio. I beni che possono costituire oggetto di regimi di deposito diversi da quello doganale sono indicati dall’Allegato V della Direttiva 112/2006/CE (il quale corrisponde all’Allegato J della VIa Direttiva). Si tratta, in particola-re dei seguenti beni: CATEGORIE DI BENI OGGETTO DEI REGIMI DI DEPOSITO
DIVERSI DA QUELLO DOGANALE DI CUI ALL’ART. 160, PAR. 2
Codice NC
Designazione dei beni
Noci di cocco, noci del Brasile e noci di acagiù Semi, frutti oleosi e sementi (comprese le fave di soia) Grassi e oli vegetali e loro frazioni, greggi, raffinati, ma non modi-ficati chimicamente 17 Il Comitato IVA è uno speciale comitato consultivo composto da rappresentanti degli Stati membri e della Commissione e presieduto da un rappresentante di quest’ultima, il quale si occupa dell’analisi di qualsiasi problematica riguardante l’applicazione delle disposi-zioni comunitarie in materia di IVA che sia stata sollevata dal presidente per sua iniziativa diretta o su espressa richiesta del rappresentante di uno Stato membro. Codice NC
Designazione dei beni
Cacao in grani anche infranto, greggio o torrefatto Oli minerali (compresi propano, butano e oli greggi di petrolio) 19) 2711 12 19) 2711 13 14) capitoli 28 e 29 Gomma in forme primarie o in lastre, fogli o nastri Alla luce di quanto osservato sopra, possiamo dunque dire che i depositi fi- scali, come li concepiamo oggi in Italia, ricomprendono i depositi accise (o de-
positi fiscali ai fini accise), i depositi IVA (o depositi fiscali ai fini IVA), ed altre
tipologie di deposito aventi la funzione di sospendere un qualche tipo di tributo
durante tutto il tempo in cui le merci rimangono stoccate al loro interno (es. i
depositi fiscali di tabacchi lavorati di cui al decreto 22 febbraio 1999, n. 67) 18
Il nostro ordinamento contiene una definizione di “deposito fiscale” all’art. , il quale lo qualifica come “l’impianto in cui vengono fabbricate, 18 Vedasi anche il decreto del Ministero delle Finanze 31 maggio 2000, recante “Carat- teristiche tecniche dei depositi fiscali di tabacchi lavorati. 19 Testo Unico Accise, approvato con D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504.

Source: http://www.giappichelli.eu/stralcio/3488315.pdf

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