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SOMMARIO: 1. Lo spostamento dalla teoria delle fonti alla teoria dell’interpre- tazione. – 2. Il giudice Hercules e il demone di Laplace. – 3. La costitu-zione e il cambiamento del grado di definizione. – 4. Interpretazione eapplicazione. – 5. Che cos’è la disposizione? – 6. Principio di sovrappo-sizione. – 7. «Shut up and calculate»? Per una conclusione non scettica.
Lo spostamento dalla teoria delle fonti alla teoria dell’inter-pretazione Negli scritti più recenti sulle fonti del diritto emergono in tutta evidenza i segni di una profonda crisi che ormai sembra in-taccare le stesse fondamenta concettuali del «sistema».
Nella sua recente voce Fonti del diritto1, Lorenza Carlassare parla a tale proposito di «punti di riferimento [che] sembranoaddirittura saltati»: gli sconvolgimenti più recenti provocati dallariforma del Titolo V – che ha fatto venir meno il punto fermodella competenza generale della legge statale e ha riconosciutouna nuova incidenza nell’ordinamento alle norme internazionalidi origine pattizia – si aggiungono alle tante trasformazioni regi- * Questo scritto sviluppa le tesi centrali di una relazione tenuta al Convegno «La sfida della transnazionalizzazione tra teoria delle fonti e dottrine della Costituzione»,svoltosi a Enna il 16 maggio 2009. Ringrazio Sergio Bartole, Stefania Parisi, GiovanniDi Cosimo e Pietro Faraguna per i loro commenti. Un ringraziamento particolare va aOmar Chessa, per le sue critiche, intelligenti e stimolanti.
strate da più tempo nel sistema. È posto in discussione persino ilcarattere di «sistema chiuso» delle fonti. Gli stessi rapporti trafonti atto e fonti fatto vanno riconsiderati, soprattutto in rela-zione a due «fatti» la cui dimensione è difficile da collocare en-tro gli schemi: quella «norma senza fonte» costituita dalla con-suetudine costituzionale, la quale «non ha alcuna disposizione(espressa) che la legittimi» eppure sembra collocarsi sullo stessopiano occupato dalla costituzione formale nella gerarchia dellefonti; e – strettamente connessa a quella – il «diritto giurispru-denziale».
Interamente intitolati alla «crisi» sono i paragrafi iniziali de «Le fonti del diritto» di Federico Sorrentino2: crisi del modello,delle fonti nazionali e statuali, della legge come atto normativo.
Anche qui è la consuetudine costituzionale a proiettare la suaombra obliqua, sia nelle trasformazioni di fatto della costitu-zione, sia nella affermazione di fatto, «per forza propria»3, difonti non previste dalle norme sulle fonti.
Anche Franco Modugno, che ha dedicato larga parte della sua ricerca al tema, da tempo critica l’idea di un sistema chiusodelle fonti basato sul principio di gerarchia4. Negli scritti più re-centi la conferma di quest’impostazione critica è ritrovata nonsolo nel perdurante ruolo della consuetudine costituzionale –dalla quale, secondo la traccia di Esposito, deriverebbero la loroforza normativa i comportamenti umani a cui l’ordinamento rico-noscere il carattere di «fonte obbligatoria» – ma anche dal pesoacquistato dalla giurisprudenza (e non solo dalla giurisprudenzacostituzionale): «è proprio questa rivalutazione della giurispru-denza che sembra consentire di svincolare, per così dire, la co-struzione del sistema delle norme dal rigido condizionamento daun preteso sistema ‘chiuso’ delle fonti»5. Seguendo le riflessioni di 1 Fonti del diritto (diritto costituzionale), in Enc. dir., Annali, II.II, 536 ss.
2 I riferimenti sono alla riedizione del 2009 (Padova, Cedam).
4 Cfr. per es. Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enc. dir., Agg., I, 1997, 561 ss.
5 Questa citazione e quelle che seguono sono tratte da È possibile parlare ancora di un sistema delle fonti?, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) Pizzorusso, Modugno individua diversi percorsi che conduconola giurisprudenza fuori dal «sistema» e ne fanno una porta assairilevante di «apertura» verso modelli culturali «d’importazione»(la cd. circolazione dei modelli giuridici) e verso l’unificazione di«sistemi» diversi. In questa direzione essa sarebbe per altro solle-citata sia da precisi rinvii legislativi – quali, per esempio, le normedi diritto internazionale privato – che da fenomeni di tipo con-suetudinario (per es. la nuova lex mercatoria, formata «sulla basedi pratiche applicate convenzionalmente nel corso dell’applica-zione di clausole contrattuali… [che] acquistano il valore dinorme consuetudinarie per la ripetizione e diffusione della loroosservanza a traverso il consenso anche tacito degli operatori diun determinato settore dell’attività economica»).
Nella visione di Modugno, dal «diritto» (e dalle sue fonti) si può entrare e uscire senza incontrare confini inviolabili e netta-mente marcati. Ciò gli consente ovviamente di «accogliere» nellasua concezione ogni mutazione del «sistema», sia nel senso dellacompenetrazione tra diritto interno e diritto transnazionale, chein quello della sovrapposizione tra hard e soft law (in quest’ul-timo sono fatte confluire anche le rationes decidendi dei giudici)e per tutte le altre trasformazioni indotte dalla globalizzazionenelle fonti del diritto, così ben riassunte – ma non con gli stessiesiti teorici – da Pizzorusso6.
Anche chi, come Antonio Ruggeri, ha speso larga parte della sua attività scientifica lungo gli «itinerari» di ricerca di un «si-stema delle fonti», non pare offrirci un quadro molto più rassi-curante della «tenuta» del sistema stesso7. La teoria delle fonti«fatica a percepire l’essenza» di questi fenomeni, non riuscendopiù ad inquadrarli secondo gerarchia e competenza, mentre mag-giormente attrezzata appare la teoria dell’interpretazione, che ri-mette «ai singoli interpreti ed ai singoli fatti d’interpretazione di 6 Di cui in particolare cfr. La produzione normativa in tempi di globalizzazione, 7 Cfr. È possibile parlare ancora di un sistema delle fonti?, in «Itinerari» di una ri- cerca sul sistema delle fonti, XII, Torino, 2009, 433 ss.
stabilire se e dove è maggiore l’apporto culturale offerto da unadata fonte ai processi ricostruttivi di senso dell’altra (o delle al-tre)»8. Questo non è solo uno spostamento di prospettiva cultu-rale perché, secondo Zagrebelsky9, è il controllo di costituziona-lità delle leggi ad essersi spostato «dal terreno delle fonti a quellodell’interpretazione», in conseguenza del fatto che si è affermatauna «concezione della costituzione come norma di applicazionegiudiziaria».
È da questa citazione che vorrei prendere le mosse. Dopo Il giudice Hercules e il demone di Laplace Quando Max Planck iniziò la sua attività di ricerca a Mo- naco, il suo professore lo sconsigliò di occuparsi di fisica, perchéormai – diceva il Maestro agli allievi – non c’era più granché dascoprire: le leggi fondamentali erano state tutte chiarite e dimo-strare, restavano da riempire solo pochi buchi. La fisica classica,fondata sulle leggi universali di Newton, sembrava aver spiegatotutto ciò che c’era da sapere della materia e reso prevedibilequalsiasi evento in base a leggi deterministiche.
La teoria dei quanti si apprestava invece a sconvolgere tutto questo. La fisica classifica aveva un’immagine della materia e delmondo adatta alla percezione «normale» della natura, di quellanatura che la geometria euclidea aiutava a rappresentare e misu-rare: una percezione adeguata all’esperienza usuale degli uomini.
Ma né l’una né l’altra si adattano al microcosmo, alla realtà ato-mica e subatomica, al mondo dell’infinitamente piccolo. Lì leggi,principi, metodi di misurazione e modelli di rappresentazioneentrano in crisi. Per rispondere alle esigenze di rappresentarequella diversa realtà, non più spiegabile con le leggi classiche,iniziò a svilupparsi la nuova teoria quantistica.
«La nuova teoria afferma che ci sono esperimenti per i quali il risultato esatto è fondamentalmente impredicibile e che in que- 9 La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, 262.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) sti casi bisogna accontentarsi di calcolare la probabilità dei varirisultati»: da questa nota affermazione di Richard Feynman, unodei padri delle nanotecnologie sviluppatesi sulla base della mec-canica quantistica, si può intendere quanto essa sconvolgesseogni teoria della materia. La realtà che essa rivela è così diversa,controintuitiva, paradossale da lasciare shockati: come disseNiels Bohr, uno dei fondatori della fisica quantistica, «anyonewho is not shocked by quantum theory has not understood it».
Ogni pretesa di tracciare nuove leggi deterministiche sul com-portamento della materia viene definitivamente esclusa.
Sosteneva de Laplace (1749-1827) che, in base alle leggi di Newton e ai suoi sviluppi, un’ipotetica intelligenza sovrumana(che venne perciò chiamato «il demone di Laplace») in grado diconoscere la posizione e la quantità di moto di ogni singola parti-cella dell’universo, avrebbe potuto calcolare tutti gli accadimentidel cosmo del passato, del presente e del futuro. Ed invece le«leggi» della meccanica quantistica sono improntate al principiodi indeterminazione di Heisenberg («non è possibile conoscerecon certezza simultaneamente la quantità di moto e la posizionedi una particella») che impone alla fisica di derubricare le cer-tezze deterministiche di Newton in mere probabilità, in un cal-colo statistico: si può esaminare il moto o la posizione, non ledue prospettive insieme (in ciò risiede il principio di complemen-tarietà dei paradigmi impiegati per descrivere i fenomeni fisici).
Che cosa c’entra tutto ciò con la teoria delle fonti del di- ritto? Si potrebbe rispondere seguendo una prima pista, l’alta viadella storia delle idee. La filosofia trascendentale di Kant ha of-ferto una forma filosofica e uno statuto epistemologico alla fisicadi Newton; ma Kant è anche la radice filosofica di colui, HansKelsen, che ha dato all’ordinamento giuridico le sue leggi di or-ganizzazione, sin dal modello epistemologico della piramide ge-rarchica del diritto10. Come la meccanica quantistica ha rilevatol’insufficienza della fisica newtoniana quale rappresentazione 10 Cfr. S. GOYAD-FABRE, Kelsen e Kant. Saggi sulla dottrina pura del diritto, Na- della materia, e l’ha messa in profonda crisi, così oggi anche lateoria delle fonti di Kelsen mostra grossi segni di cedimento, dinon riuscire più a spiegare i fenomeni indotti dalla trasforma-zione degli ordinamenti giuridici e a guidare i comportamentidegli interpreti. Lo dimostra anche lo scarso credito che ha otte-nuto la teoria di Dworkin della one right answer: il «giudice Her-cules», capace di elaborare un sistema di principi e coniugarlocon tutti i testi normativi vigenti individuando perciò la solu-zione giusta e unica a tutti i casi possibili11, non ricorda infatti il«demone di Laplace»? Come osserva Tribe in un saggio di di-versi anni fa12, «the metaphors and intuitions that guide physicistscan enrich our comprehension of social and legal issues». In que-sta prospettiva si colloca la proposta di una rilettura «quanti-stica» della teoria delle fonti.
La teoria delle fonti, strutturata in un sistema ordinato dal principio di gerarchia e da regole sulla successione delle leggi neltempo, è nata per guidare l’opera dell’interprete, e quindi del giu-dice13. Certo, essa non pretendeva affatto di eliminare la compo-nente di valutazione soggettiva del giudice, in quello che Kelsen14chiamava il «procedimento intellettuale» di passaggio dalla«norma generale» alla «norma individuale»; ma concorreva a 11 Taking Rights Seriously, tr. it. I diritti presi sul serio, Bologna, 1982, 203. Sor- prendentemente anche un sostenitore della teoria scettica dell’interpretazione comeGuastini ritiene che la «cornice» dei molteplici significati di un testo normativo è teori-camente conoscibile ex ante (in questo senso cfr. anche il suo Le fonti del diritto e l’in-terpretazione, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1993,18), e che dunque il giurista Hercules la potrebbe conoscere, anche se può darsi chegiuristi non erculei siano incapaci di identificarla nella sua interezza: ciò almeno «teori-camente» (Lo scetticismo interpretativo rivisitato, in Materiali per una storia della culturagiuridica, 2006, 227 ss., 235). La tesi che in seguito si argomenterà è invece che il giu-dice di Dworkin non ha più speranze (neppure «teoriche») del demone di Laplace.
12 The curvature of constitutional space: what lawyers can learn from modern phy- sics, in 103 Harv. L. R. (1989-1990), 2.
13 Come osserva G. ZAGREBELSKY, La legge, cit., 233, per Kelsen l’interpretazione e l’applicazione del diritto dipendono dalla struttura dell’ordinamento giuridico e,quindi, dalla teoria delle fonti.
14 Reine Rechtslehre, tr. it. di M. LOSANO, La dottrina pura del diritto, Torino, ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) tracciare lo «schema» contenente le «possibilità di applicazione»entro le quali in giudice potrebbe effettuare le sue scelte. Peròforse questa è una rappresentazione «newtoniana» della realtàgiuridica, non adatta alle esigenze indotte da un diverso grado didefinizione della percezione del problema interpretativo. Un di-verso grado di percezione – questa è la prima ipotesi che vorreiavanzare – è stato imposto dall’introduzione delle moderne costi-tuzioni rigide, interessando sia l’immagine del sistema delle fontisia i modi di concepire l’interpretazione giuridica.
La costituzione e il cambiamento del grado di definizione Che cosa sia cambiato nel sistema delle fonti è l’aspetto più noto. La costruzione gradualistica di Kelsen e della Scuola diVienna15 si era imposta anche in Italia16, ed aveva trovato il rico-noscimento testuale nelle Disposizioni preliminari al codice civiledel 1942. Movendo da questo impianto concettuale, la Costitu-zione repubblicana ne ha desunto il fondamentale criterio ordi-natore del «sistema delle fonti», criterio che le assegna – propriocome nel modello kelseniano – la collocazione al livello più ele-vato della gerarchia17.
La gerarchia delle fonti è dunque il presupposto implicito che caratterizza il sistema delle fonti al momento dell’introdu-zione della nuova costituzione; ma questa ne segna però la crisi.
Le cause sono a tutti note (il venir meno dell’unitarietà della«legge» attraverso la previsione di nicchie di competenza riser-vata ad atti prodotti con procedimenti specifici, caratterizzati dacontenuti «vincolati» oppure dotati di una «forza» diversa daquella tipica; il concorso tra fonti statali e fonti regionali; l’aper- 15 Sull’evoluzione storica e teorica del principio di gerarchia cfr. F. MODUGNO, Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enc. dir., Agg., I, 561, 563 ss.
16 Pur non senza forti contestazioni teoriche: il riferimento inevitabile è a C.
ESPOSITO, La validità delle leggi, Milano, 1934.
17 Cfr. per es. la ricostruzione tracciata da G. ZANOBINI, La gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, a cura diP. Calamandrei e A. Levi, Firenze, 1950, 47 ss. (ripubblicato in Scritti vari di dirittopubblico, Milano, 1955, 367 ss.).
tura ancora timida, ma poi non più controllabile, all’ordina-mento internazionale ecc.): il «sistema delle fonti», che la teoriaaveva edificato attorno ai due assi della «gerarchia» e della «cro-nologia», richiedeva ulteriori criteri di rappresentazione dellasua accresciuta complessità, e la dottrina lo individuava nel crite-rio della «competenza», come spiegazione del rapporto tra «attinormativi» di pari grado gerarchico, cui però la costituzione at-tribuisce funzioni o ambiti di disciplina particolari.
Meno evidente, ma certo non di minor rilevanza sono le conseguenze che l’introduzione della costituzione rigida provocasul piano dell’interpretazione del diritto. Perché l’interpretazionedelle costituzioni moderne richiede nell’interprete un atteggia-mento assai diverso da quello che egli ha tenuto tradizional-mente, per esempio, di fronte ai codici.
La premessa da cui muove l’interprete dei codici è l’esatto opposto della premessa da cui prende le mosse chi affronti cor-rettamente l’interpretazione della costituzione. Il pregio di uncodice è la sua unità, la sua coerenza interna, la sua autosuffi-cienza18; il pregio di una costituzione d’oggi è, al contrario, il suopluralismo, la sua indeterminatezza (ossia la tendenziale incoe-renza), il suo carattere aperto.
Il codice dovrebbe (quantomeno nei propositi dei suoi estensori e negli auspici degli interpreti) guidare verso risposteunivoche e stabili. Ogni suo articolo fissa il punto di equilibrio,la sintesi tra gli interessi sociali che si trovano in conflitto: il pro-prietario e il locatore, il venditore e il compratore, il socio e l’am-ministratore, il testatore e l’erede trovano tutti, negli articoli delcodice, la composizione precisa dei loro interessi divergenti e delloro potenziale conflitto. Non mancano di certo le zone buie e imargini d’incertezza; il fatto è, però, che il programma con cui ilcodice è scritto è ispirato al proposito di regolare i conflitti tra gliinteressi individuali attraverso la precisa fissazione del punto incui essi trovano la mediazione, la posizione di equilibrio. Con la 18 In ciò sta la «inconfondibile tipicità» del codice «rispetto a tutte le fonti giu- ridiche manifestatesi nella vicenda storica»: P. GROSSI, Mitologie giuridiche della mo-dernità, Milano, 2001, 99.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) costituzione non è mai così. In una costituzione moderna sa-rebbe vano cercare «istituti che conciliassero opposte esigenze»,come osservava con rammarico Jemolo19, commentando la costi-tuzione che pur aveva concorso a preparare. La generazione cheaveva scritto la costituzione italiana, memore dell’esperienza pre-cedente, spesso si confessava delusa del proprio lavoro, perché iltesto che ne era uscito appariva a molti privo della invidiabile«coerenza» dello Statuto albertino20. Ed invece, ad anni di di-stanza, questa appare proprio la caratteristica necessaria delle co-stituzioni moderne21. In esse sono stati riposti valori, interessi,programmi dichiarati in termini assoluti, contrapposti gli uni aglialtri, senza che fosse stato possibile fissare già il punto della loromediazione. La conciliazione è rinviata a decisioni future: la co-stituzione resta come open texture.
Non è perciò la quantità e la generalità dei principi che ne tessono il testo quello che distingue la costituzione (moderna)dai codici e dalle leggi ordinarie22, quanto piuttosto il fatto chetali principi vi vengono enunciati come «assoluti» e non già «bi-lanciati». La evidente molteplicità e contraddittorietà di valori,principi, interessi che trovano riconoscimento nella carta costitu-zionale non costituisce affatto un fenomeno occasionale né undifetto di essa, bensì una caratteristica legata alla sua più intimanatura23: «vi è un rapporto di mutuo condizionamento fra i modi 19 A.C. JEMOLO, La Costituzione: difetti, modifiche, integrazioni. Relazione svolta all’Accademia Nazionale dei Lincei l’11 dicembre 1965, ora in La Costituzione dellaRepubblica - Cinquant’anni di discussioni, critiche, giustificazioni, a cura di L. Ornaghi,Milano, 1996, 51 ss., 56 s.
20 Cfr. B. CROCE, Intervento nella seduta dell’11 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma, 1970, I,337 ss.21 Ho cercato di argomentare questa affermazione in Che cos’è la costituzione?,in Quad. cost., 2007, 11 ss.
22 In questo senso per es. G.U. RESCIGNO, Interpretazione costituzionale e positi- vismo giuridico, in Dir. pubbl., 2005, 29.
23 «La natura innegabilmente pluralistica e intimamente contraddittoria della costituzione non è una triste realtà; può invece costituirne uno dei maggiori punti diforza»: L.H. TRIBE - M.C. DORF, On Reading the Constitution, tr. it. Leggere la costitu-zione: una lezione americana, Bologna, 2005, 36.
degli enunciati delle moderne costituzioni di compromesso e laloro scelta a favore della rigidità»24. La costituzione serve perchéè contraddittoria nelle sue affermazioni di principio; ed è rigidaperché ogni componente politica che l’ha sottoscritta ha sceltoquali interessi includervi al fine di sottrarli alla decisione dellamaggioranza politica, cui spetta pro tempore di amministrare iconflitti interni alla società. I principi vi sono espressi in termini«assoluti», non già mediati e tradotti in formule di compro-messo.
Tutto ciò si riflette con evidenza sull’interpretazione: o me- glio, sui compiti dell’interprete. Le qualità antropomorfiche chela comunità degli interpreti era solita presupporre nel «legisla-tore» dei codici – coerenza, completezza, univocità – sono sicu-ramente non trasferibili alle costituzioni. L’incoerenza program-matica dei principi costituzionali rinvia ad un’opera successiva diincarnazione di essi in regole, e solo attraverso le regole i principicostituzionali possono essere «amministrati» con gli strumentidell’interpretazione e dell’applicazione del diritto. L’incoerenza sisposa quindi con l’incompletezza, ossia con la negazione di un al-tro dei paradigmi della scienza giuridica tradizionale.
E tuttavia se le costituzioni sono leggi25, come leggi devono essere interpretate e applicate dai giudici e dalle corti costituzio- 24 S. BARTOLE, Costituzione (dottrine generali e diritto costituzionale), in Dig. disc. 25 Questa è infatti la domanda fondamentale: se la costituzione sia essa stessa una «legge», se entri a far parte del «sistema», se le sue norme siano a tutti gli effettinorme dell’ordinamento positivo, e non semplici direttive rivolte al legislatore: se,dunque, anche da essa possa essere tratta direttamente la regola del caso. La rispostanon è affatto scontata. In Italia, per esempio, che la costituzione e la legislazione nonsiano «sfere separate», per cui le disposizioni costituzionali non avrebbero modo dientrare direttamente a far parte dell’ordinamento giuridico, è una convinzione che inorigine ha fatto fatica ad imporsi e forse, anzi, non era affatto corrispondente all’im-magine che i costituenti avevano in mente: così almeno secondo C. MEZZANOTTE, LaCorte costituzionale: esperienze e prospettive, in Attualità e attuazione della Costitu-zione, Bari, 1979, 149 ss. Merita ricordare che, nelle prime cause discusse dalla Cortecostituzionale, il Governo, attraverso l’Avvocatura dello Stato, aveva assunto la difesadella legislazione repressiva fascista contro le norme costituzionali che garantivano lelibertà, sostenendo che quest’ultime o sono norme precettive che producono l’abroga- ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) nali. Giudici e interpreti seguono un codice deontologico cheguida la loro funzione: sono regole stratificate nell’esperienzastorica, che in larga parte risalgono alla codificazione e sono statetradotte in norme positive. Il divieto di non liquet, l’obbligo dinon fermarsi alla ricerca del casus legis ma di procedere con ra-gionamento analogico o traendo dai principi generali la regoladel caso – quella che l’interprete considera come l’unica regolacoerente con un «sistema» che dev’esser comunque completo equindi in grado di fornire una risposta univoca alla domanda digiustizia – sono norme di comportamento professionale del giu-dice e dell’organo giurisdizionale, che ne rispecchiano il ruolocostituzionale. I giudici – Corte costituzionale inclusa – hanno ilpotere-dovere di decidere il caso, anche quando manchi il casuslegis26.
Come si diceva, poche sono le disposizioni della costitu- zione che esprimono direttamente regole in cui già sia fissato ilpunto di equilibrio tra gli interessi in gioco. Per lo più sono leleggi e le fonti subordinate a porre le regole, mentre la costitu-zione resta sullo sfondo, come elenco di principi, espressione de-gli interessi o dei valori che la legge non può ignorare. Il «con-gelamento» dei valori o interessi incorporati nei principi dellacostituzione «rigida» è dettato proprio dall’esigenza di porli al ri-paro dalla decisione legittimamente assunta dagli organi cui è at-tribuito il potere legislativo. Ad essi è conferito il potere di deci-dere, ma la decisione può considerarsi legittima solo se è assuntasenza violazione di quei principi.
L’interpretazione della costituzione entra quindi in gioco solo quando la linea seguita dagli organi politici appaia colliderecon i principi enunciati dalle disposizioni costituzionali. Siccomesono relativamente infrequenti i casi di leggi che si scontrano conspecifiche disposizioni costituzionali, per lo più la costituzione zione delle leggi anteriori con esse incompatibili, oppure hanno carattere programma-tico e non comportano perciò difetto di legittimità di nessuna delle leggi vigenti ante-riori alla costituzione.
26 Cfr. G. GORLA, I precedenti storici dell’art. 12 disposizioni preliminari del co- dice civile del 1942 (un problema di diritto costituzionale?), in Foro it., 1969, V, 112 ss.
entra in gioco attraverso il richiamo di principi generalissimicome il principio di eguaglianza o attraverso operazioni di bilan-ciamento trai principi costituzionali: apparentemente quindi que-ste operazioni si svolgono su un terreno alquanto lontano daquelle operazioni che generalmente si denominano «interpreta-zione giuridica». Ma a questo aspetto merita dedicare due consi-derazioni.
La prima è che ‘interpretare’ può alludere ad operazioni al- quanto diverse. Kelsen27, come è noto, distingueva l’accerta-mento teorico del significato dell’oggetto che deve essere inter-pretato dall’applicazione del diritto da parte del giudice: laprima è opera di scienza e serve a «accertare lo schema costituitodal diritto da interpretare e quindi la conoscenza di più possibi-lità esistenti all’interno di questo schema»; la seconda è un attodi volontà, «in cui l’organo incaricato dell’applicazione del di-ritto compie una scelta fra le possibilità rilevate dall’interpreta-zione teorica»28.
In altre parole, si può parlare di interpretazione in abstracto e di interpretazione in concreto29 come di due attività connessenel processo di «applicazione del diritto». Forse nella prima èracchiusa però anche un’operazione di respiro ben maggiore chei giudici di grado più elevato sono costretti talvolta ad affrontareper stabilire, non tanto quale sia lo schema dei possibili signifi-cati di una determinata disposizione, ma addirittura il senso isti-tuzionale più generale che va attribuito ad un atto, ad un deter-minato principio o allo stesso compito loro affidato. Si pensi alledecisioni con cui la Corte di giustizia della Comunità europea hariconosciuto che le norme del Trattato hanno «efficacia imme- 27 Reine Rechtslehre, cit., 384 ss.
29 Così, per es., R. GUASTINI, Teoria e ideologia dell’interpretazione costituzionale, in Giur. cost., 2006, 743 ss.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) diata negli ordinamenti interni degli Stati membri, attribuendo aisingoli dei diritti soggettivi che il giudice nazionale ha il dovere ditutelare»30; oppure alle sentenze con cui la Corte costituzionaleha stabilito l’«efficacia diretta» delle norme costituzionali neiconfronti della legislazione pre-costituzionale o il modo in cuil’ordinamento italiano si coordina con quello comunitario31. An-che le decisioni che hanno portato a costruire il principio dieguaglianza di cui all’art. 3 Cost. come clausola generale di ragio-nevolezza32 delle leggi e «canone di coerenza» dell’intero ordina-mento33, nonché quelle che hanno progressivamente accreditatol’innesto della tecnica di bilanciamento degli interessi sull’inter-pretazione dei diritti costituzionali (nessuno dei quali nasceprivo di limitazioni34), sembrano potersi classificare in questotipo di «interpretazione» del sistema.
In queste decisioni fondamentali la Corte costituzionale de- finisce lo «schema delle possibilità» relativo al significato da at-tribuire al testo costituzionale nel suo complesso, ben oltre dun-que del riferimento a sue singole disposizioni. Queste disposi-zioni sono però soggette poi all’interpretazione in concreto, e 30 Sent. Van Gend en Loos (C-26/62).
31 Rispettivamente sent. 1/1956 e 170/1984: ma certo si potrebbero citare an- cora altre decisioni, come la sent. 303/2003 sulla applicazione del principio di sussi-diarietà nelle relazioni tra Stato e regioni o le sent. 348 e 349/2007 sul rapporto tra or-dinamento nazionale e CEDU.
32 Già nella sent. 16/1960 la Corte accenna all’ipotesi che il legislatore possa mu- tare «la discrezionalità in quel manifesto arbitrio, in quella patente irragionevolezza, ilcui esercizio è tra i modi in cui si può concretare la violazione del principio dell’egua-glianza dei cittadini davanti alla legge»; ma è alla sent. 85/1965 che sembra risalire laprima pronuncia di illegittimità causata dall’irragionevolezza della previsione legisla-tiva. 33 «La risposta affermativa deve essere data da chiunque ravvisi il valore essen-ziale dell’ordinamento giuridico di un Paese civile nella coerenza tra le parti di cui sicompone; valore nel dispregio del quale le norme che ne fan parte degradano al livellodi gregge privo di pastore: canone di coerenza che nel campo delle norme di diritto èl’espressione del principio di eguaglianza di trattamento tra eguali posizioni sancitodall’art. 3»: sent. 204/1982.
34 Affermazione che compare peraltro già nelle prima sentenza della Corte co- quindi all’applicazione: «la concretizzazione della legge nel casoparticolare, cioè l’applicazione»35 è un aspetto ineliminabile del-l’interpretazione giuridica, perché «comprendere significa sem-pre, necessariamente, applicare», visto che «la conoscenza di untesto legale e la sua applicazione al caso giuridico concreto nonsono due atti separati, ma un processo unico»36. Di una qualsiasidisposizione (costituzionale o meno) si può dire che il suo «con-tenuto specifico… deve essere determinato in base al caso speci-fico a cui ha da essere applicata»37. Ciò vale anche per il princi-pio di eguaglianza, per la ragionevolezza delle leggi e per il bi-lanciamento dei diritti? È vero che la regola di coerenza, implicita nel principio di eguaglianza, opera senza impegnare il «testo» costituzionale. LaCorte trae da una disposizione costituzionale la legittimazionedel suo giudizio (l’obbligo di garantire la coerenza dell’ordina-mento), ma il suo giudizio procede quasi tutto nello spazio tra lanorma di legge e la sua ratio. Tuttavia alla fine la Corte deve de-cidere se l’oggetto del suo giudizio, la classificazione tracciata dallegislatore (la differenziazione o la parificazione denunciata nel-l’ordinanza del giudice), sia o meno compatibile con la costitu-zione, indicando la disposizione assunta a parametro. La «regoladel caso» che la Corte produce per sorreggere la sua decisione fi-nisce dunque con dirci qualcosa sul corretto significato della di-sposizione costituzionale applicata. In altri termini è attraverso lavastissima casistica delle sentenze pronunciate sul principio dieguaglianza, e delle sentenze additive in particolare, che noi ve-niamo a capire se e i quale misura sia lecito differenziare, peresempio, il ruolo dell’uomo e della donna, il diritto riconosciutoallo straniero rispetto a quello vantato dal cittadino, il contenutodi un diritto in caso di conflitto con un altro interesse, ecc. Ben-ché il giudizio di ragionevolezza possa sembrare così lontano dal 35 H.G. GADAMER, Wahrheit und Methode, tr. it. di G. VATTIMO, Verità e metodo, 36 Secondo le note tesi di H.G. GADAMER, op. cit., 360 s.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) cliché dell’interpretazione giuridica, intesa come attribuzione disignificato ad un enunciato legislativo, è attraverso questa giuri-sprudenza che noi apprendiamo che cosa significa in concreto(ossia con riferimento al caso di specie) la disposizione costitu-zionale che esprime il principio di eguaglianza (o ogni altra di-sposizione richiamata per fondarvi tale giudizio)38.
Altrettanto può dirsi ovviamente del bilanciamento degli in- teressi: le «regole di prevalenza» fissate dalla giurisprudenza co-stituzionale in relazione al singolo caso (ossia al vizio di legitti-mità della legge denunciato dal giudice a quo con riferimento alcaso di specie dedotto davanti a lui) vanno a definire «significatinormativi» tratti dalla Corte in sede di applicazione delle normecostituzionali che entrano in gioco. Si prenda il classico caso del-l’aborto. La Corte costituzionale, nella sua nota sentenza39, cidice quale sia il significato dell’art. 32 (diritto alla salute),quando si trovi in conflitto con l’art. 2 (che garantisce – affermala Corte – la «situazione giuridica del concepito») in relazionealla protezione del diritto alla salute della madre messo in peri-colo dalla tutela del diritto alla vita del concepito. Fissa un puntofermo, in termini di limiti costituzionali alla scelta discrezionaledel legislatore: innanzitutto individua gli interessi rilevanti ingioco40 e la loro rispettiva base costituzionale, e poi fissa la «re-gola di prevalenza» (per usare l’espressione di Alexy). Questo si-gnifica «concretizzare» la costituzione in relazione al caso parti-colare.
Certo queste operazioni possono apparire assai lontane dal modello classico dell’interpretazione giuridica, perché si svolgono 38 Ecco perché l’interpretazione della costituzione «va sempre più prendendo la fisionomia di un’attività in cui ermeneutica ed attuazione della costituzione si som-mano con l’integrazione e specificazione dei disposti di questa» (S. BARTOLE, Costitu-zione, cit., 314): considerazioni opportunamente sviluppate, in relazione al giudizio diragionevolezza, da R. TOSI, Spunti per una riflessione sui criteri di ragionevolezza nellagiurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 1993, 545 ss.
40 Sicché la Corte ha potuto in seguito negare con perentorietà la rilevanza di al- tri interessi nella decisione di abortire, come quello del padre (ord. 389/1988) o delgiudice obiettore di coscienza (sent. 196/1987).
«attraverso procedimenti logici non propriamente conformi allatecnica naturale e tradizionale dell’interpretazione giuridica»41, senon addirittura sovversivi rispetto ad essa42. Ma ciò forse soloperché la visione dell’interpretazione giuridica che abbiamo ere-ditato è un po’ troppo angusta. Angusta in fondo per la stessarealtà dell’interpretazione della legge ordinaria: determinare checosa sia «danno ingiusto» ai sensi dell’art. 2043 c.c. è un processodi attribuzione di significato non diverso da quello di delimitarel’oggetto del «diritto alla salute» ex art. 32 Cost. Che cosa com-ponga il processo ermeneutico che svolge l’interprete nel colle-gare due «cose» (la disposizione scritta dal legislatore e l’eventomateriale sottopostogli), attraverso la loro trasformazione nelledue premesse del suo sillogismo (la regola del caso e il caso da re-golare) è indeterminabile a priori: è un processo intellettuale checonsente di trasformare gli oggetti che stanno fuori di noi in ideeche stanno dentro di noi e sulla cui base ci è possibile qualificarei fatti, gli eventi, i comportamenti. Nessuno degli strumenti tipicidell’interpretazione giuridica, e neppure la loro combinazione,racchiude l’intero processo, e forse neppure rappresenta la partepiù significativa di esso. L’interpretazione è un processo intellet-tuale troppo complicato per essere ridotto a procedure intera-mente descrivibili e standardizzabili.
Ecco la seconda considerazione: che cos’è esattamente che si «interpreta» e si «applica»? Le convenzioni linguistiche deicostituzionalisti, guidate dall’insegnamento di Crisafulli, giocanosulla contrapposizione tra disposizione e norma: la prima, rap-presentata dalle proposizioni dell’atto legislativo, è l’oggetto su 41 E. CHELI, In tema di «libertà negativa» di associazione, in Foro it., 1962, 19.
Che il giudizio di bilanciamento non appartenga all’interpretazione giuridica è quantoho sostenuto in Diritti e argomenti, cit., 134 ss.
42 «Balancing is undermining our usual understanding of constitutional law as an interpretative enterprise»: T.A. ALEINIKOFF, Constitutional Law in the Age of Balan-cing, in 96 Yale L. J. (1987), 987.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) cui si esercita l’interpretazione, che a sua volta genera la norma,ossia il significato normativo. Apparentemente riproduciamo inquesto modo il dualismo, potremmo dire ontologico, tra segno esignificato. Ma forse non è esattamente così. Già Crisafulli pre-senta qualche esitazione nel configurare la disposizione comesemplice oggetto dell’interpretazione: mi riferisco agli accenni ai«frammenti di norma», enunciati «formalmente autonomi» ma«insuscettibili, in sé e per sé, di esprimere un significato norma-tivo (relativamente) compiuto»; d’altra parte, avverte Crisafulli,se si insistesse sulla necessaria compiutezza di significato delladisposizione, si finirebbe con concludere che, per aversi disposi-zione, sia richiesto «il ricorrere di tutti gli elementi che, alla stre-gua delle diverse concezioni possibili, si ritengono elementi co-stitutivi della norma giuridica»43. Disposizione e norma siconfonderebbero.
La disposizione non è un «dato», dunque, ma il frutto di una selezione: una selezione guidata in larga parte dalla teoria dellefonti. I criteri di soluzione delle antinomie, in particolare, consen-tono all’interprete di selezionare le disposizioni operando supiani diversi: il criterio di gerarchia opera essenzialmente sulpiano degli atti (e dei fatti); il criterio cronologico seleziona sia gliatti e le loro disposizioni (così opera la abrogazione espressa maanche, in principio, la cd. abrogazione implicita44), sia le norme(nel caso di abrogazione tacita)45; il criterio di specialità (lex spe-cialis derogat legi generali) opera essenzialmente sul piano dellenorme; il criterio della competenza, elaborato per spiegare il con-corso tra atti di rango primario, è oggi impiegato soprattutto perregolare i rapporti tra ordinamenti (ordinamento generale equello particolare delle Camere; ordinamento italiano e ordina-mento comunitario; forse anche tra ordinamento statale, regio-nale e degli enti locali).
43 Disposizione e norma, in Enc. dir., XIII, 195.
44 «…perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge ante- riore», come prescrive l’art. 12 delle «Preleggi».
45 Secondo l’opinione comune: cfr. F. MODUGNO, Abrogazione, in Enc. giur., I, 4; R. GUASTINI, Le fonti del diritto e l’interpretazione, cit., 294.
Questa importante parte della teoria delle fonti serve all’in- terpretazione perché aiuta a scegliere il suo «oggetto», ossia la«disposizione» da interpretare. Ma su questa scelta incidono an-che altre «componenti interpretative»: la selezione delle disposi-zioni «rilevanti» rispetto al «caso» e l’accreditamento del «valoreprecettivo» dell’enunciato legislativo. La prima dipende da unaprognosi basata sull’interpretazione in astratto della disposizionenon meno che dalla caratterizzazione giuridica del caso da deci-dere; la seconda, non disgiunta dalla prima, valuta se le disposi-zioni «rilevanti» abbiano davvero di per sé forza prescrittiva neiconfronti del caso in questione. Operano argomenti come quellodella sedes materiae, dell’ambito soggettivo o oggettivo dell’ap-plicazione della norma, del contenuto solo programmatico op-pure precettivo di essa, della natura innovativa o «meramente ri-cognitiva» della legge, della immediata applicabilità dell’atto odel possibile effetto diretto della norma, ed altre considerazioniancora. Un esempio paradigmatico può essere offerto dai modicon cui la Corte costituzionale «sceglie» la «materia» a cui im-putare la legge (statale o regionale) che è stata impugnata nelgiudizio di via principale: attraverso un complesso ragionamentosi individuano gli interessi coinvolti dal provvedimento legisla-tivo impugnato, si valuta quale di esso prevalga (se prevalenzac’è), si individua infine la materia a cui riferirlo e, con ciò, la di-sposizione costituzionale rilevante (con la conseguenza chequella disposizione acquisterà da quella sentenza un significato inrelazione all’oggetto della legge in contestazione46).
Difficile dire quali di queste valutazioni riguardino l’indivi- duazione della disposizione e quali attengano già alla sua inter-pretazione, all’estrazione della norma. Il «principio di indetermi-nazione» di Heisenberg sembra sorriderci: se l’osservatore con-centra la sua attenzione sulla disposizione-testo perde di vista leoperazioni interpretative che sta in quel momento sviluppando 46 Così, per limitarmi ad un unico esempio, la materia «governo del territorio» ha assunto il significato di includere l’«urbanistica» (sent. 303/2003) e l’«edilizia»(sent. 362/2003).
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) (e non può essere certo che il suo considerare le disposizioni inquanto vigenti e rilevanti inavvertitamente non le trasformi).
Quando il giudice (o la Corte) elabora la «regola del caso» attra-verso un’interpretazione «adeguatrice» della legge alla costitu-zione, quale disposizione sta applicando? Da quale atto ha trattola regola del caso? E quando la Corte di giustizia stabilisce che«il giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione lenorme dell’ordinamento nazionale nel loro complesso e ad inter-pretarle, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopodella detta decisione quadro»47, quale via indica al giudice al finedi collegare la teoria delle fonti con la teoria dell’interpretazione,gli atti alla regola del caso? Forse ancora più evidente è il feno-meno quando accade il contrario, ossia nei casi in cui è il testocostituzionale ad essere interpretato in modo conforme alla legi-slazione ordinaria48: anche qui la giurisprudenza costituzionalesulle «materie» dell’art. 117 è particolarmente eloquente.
Considerazioni non dissimili possono valere per la questione del «diritto vivente». È stato attentamente esaminato il dibattitoteorico che ha accompagnato l’affermarsi di questa strategia argo-mentativa nella giurisprudenza costituzionale, e come essa si ri-colleghi alla interpretazione conforme49: riletto oggi, quel dibat-tito appare davvero lontanissimo; non c’è dubbio che la prospet-tiva «realista» di Ascarelli abbia ormai prevalso sulla convinzioneformalista per cui da ogni disposizione si potrebbe ricavare una e 47 È la conclusione della ben nota sent. Pupino (C-105/03).
48 Cfr. W. LEISNER, Von der Verfassungsmässigkeit der Gesetze zur Gesetzmäs- sigkeit der Verfassung, Tübingen, 1964 e O. MAJEWSKI, Auslegung der Grundrechtedurch einfaches Gesetzesrecht?, Berlin, 1971. Del resto l’influenza delle definizioni con-tenute nelle leggi ordinarie al fine dell’interpretazione della costituzione è fenomenoben noto: cfr. G. ZAGREBELSKY, Appunti in tema di interpretazione e di interpreti dellaCostituzione, in Giur. cost., 1970, 904 ss., 913 s. Giustamente osserva O. CHESSA,Drittwirkung e interpretazioni: brevi osservazioni su un caso emblematico, in E. MAL-FATTI, R. ROMBOLI, E. ROSSI (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, To-rino, 2002, 420 ss., 425, che nell’interpretazione conforme si verifica una “saldatura”tra le due disposizioni che si combinano senza “unidirezionalità e gerarchia”.
49 Cfr. A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e «diritto vivente», Milano, una sola interpretazione «giusta». Oggi, semmai, la tesi che man-tiene un rapporto necessario tra disposizione e norma appareconservatrice rispetto alle tendenze che esaltano la prevalenza del«caso» e la sua funzione di guida «privilegiata» dell’interprete,oppure alle vaghe aspirazioni alla «interpretazione per valori»50:quasi che la disposizione di legge possa retrocedere a mero appi-glio giustificativo di una ricerca della regola del caso che si svi-luppa fuori dello stesso terreno dell’interpretazione, quale proce-dura di attribuzione di significati al segno testuale. Non c’è dub-bio che questa prospettiva assume forza, in relazione allagiurisprudenza costituzionale, soprattutto con riferimento allesentenze additive: in esse infatti, è il «caso» che il giudice remit-tente deve affrontare a fornire la fattispecie di cui si chiede allaCorte l’addizione – l’addizione ai possibili significati che la dispo-sizione è considerata in grado di esprimere. Facile dunque per-dere di vista la prospettiva del legame interpretativo con la leggeper rivolgere l’attenzione ad esigenze di generica giustizia, chenon si pongono neppure l’obiettivo di interpretare la legge, di ri-cavare un significato dalle disposizioni, perché è l’interprete adimporre ad esse il contenuto (o almeno così può sembrare).
La pretesa «normatività del fattuale» penetra così nella teoria delle fonti esprimendo una serie di figure più o meno consolidate.
Le consuetudini costituzionali, la costituzione materiale, il soft-law e le regole derivanti da fenomeni di produzione non statualedi norme come la lex mercatoria, i codici di autoregolamenta-zione, le best practices ecc. Sono «fatti» o «documenti» che en-trano talvolta nell’argomentazione dei giudici e, attraverso queste,sembrano accreditate di un certo valore normativo e spingonoperciò all’inserimento nel sistema delle fonti. Si verifica un feno- 50 Cfr., per esempio, A. BALDASSARRE, L’interpretazione della Costituzione, in L’in- terpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, a cura di A. Palazzo, Napoli, 2001,205 ss.; M. LUCIANI, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in La giustizia co-stituzionale ad una svolta, a cura di R. Romboli, Torino, 1991, 170 ss. In fondo perquesta prospettiva il giudice ideale sarebbe l’Hercules teorizzato da Dworkin e laCorte dovrebbe porsi come il «forum of principle» (o, come direbbe Luciani, la «leva-trice dell’unità» dei valori: p. 176).
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) meno che rievoca ancora il principio di indeterminazione di Hei-senberg. Non solo perché misurando con grande accuratezza ilprocesso di interpretazione-applicazione del diritto si perde di vi-sta il rapporto tra la regola prodotta da tal processo con la teoriadelle fonti, ma anche perché è evidente che (come avviene nellafisica delle microparticelle) il fatto stesso di osservare quel pro-cesso lo modifica, cambia il dato osservato: tutta una serie di fe-nomeni «fattuali» (cioè formalmente estranei al dato legislativo)di cui l’interprete tiene conto nella sua attività finisce con essereascritta alle fonti, ossia ai dati di cui deve tener conto.
L’interprete non opera in un ambiente asettico: applica si- stemi culturali complessi (la grammatica, la sintassi, le conven-zioni linguistiche, i modelli culturali ecc.) che non appartengonoall’oggetto dell’interpretazione, ma al contesto. Il «diritto vivente»segna il contesto interpretativo e applicativo di una determinataproposizione legislativa; così pure la «consuetudine costituzio-nale» o la «costituzione materiale» segnano il contesto in cui gliorgani costituzionali agiscono e ridefiniscono il quadro fattualedei loro equilibri reciproci51; le regole deontologiche, gli usi com-merciali e le pratiche accreditate dai produttori di settore segnanoil contesto in cui sono soliti agire gli operatori di questo o quelsettore. È inevitabile che l’interprete ne tenga conto, ma non hamolto senso riconoscere a tali fenomeni la natura di «fonte del di-ritto». Non si tratta di difendere una concezione formalista deldiritto, ma un principio fondamentale dello stato liberale e costi-tuzionale, che nella netta distinzione tra ciò che è regola giuridicae ciò che non lo è impernia la tutela dell’individuo e della sua au-tonomia dal potere altrui, pubblico o privato che sia.
Difficile dunque separare l’individuazione della disposizione e la sua interpretazione, ricostruire analiticamente il processo di 51 Mi sia consentito rinviare alle considerazioni critiche sviluppate in L’ultima fortezza, Milano, 1996, 38 ss.
accreditamento della norma. Forse anche impossibile. L’interpre-tazione della legge si congiunge (e confonde) con la sua applica-zione: ma ‘applicazione della legge’ è una metafora alquantofuorviante.
‘Applicare» significa «accostare o apporre un oggetto ad un altro, per modo che si tocchino (come avviene dei lati di unacosa che si pieghi)»52: che senso ha la frase ‘si applica la legge alcaso concreto’? Nella metafora si cela un doppio transfer dalfuori al dentro, ossia dal mondo reale (in cui esistono i docu-menti normativi e le loro proposizioni, ma anche l’evento «de-dotto» davanti al giudice) al mondo intellettuale: l’applicazione èun processo intellettuale che pone in relazione due «costru-zioni»53, quella della norma e quella del caso («che pertanto vieneanch’esso concettualizzato o astrattizzato»54); non fa meravigliaperciò che questo processo sia riassunto nella forma logica delsillogismo, quintessenza del ragionamento.
La costruzione della norma, della «regola del caso», della ra- tio decidendi, della «premessa maggiore» del sillogismo o della«giustificazione esterna in diritto» – le espressioni si equivalgono– è frutto dunque di un processo di cui né la teoria delle fonti néla teoria dell’interpretazione riesce a rappresentare lo svolgi-mento. La regola del caso – scelgo questa espressione perché me-glio esprime la congiunzione tra ciò che proviene dal diritto e ciòche deriva invece dagli eventi – sembra comportarsi propriocome un «quanto» giuridico, dalle proprietà davvero singolari. Èuna «particella normativa» che non può essere compiutamenteanalizzata né attraverso la teoria delle fonti né attraverso la teo-ria dell’interpretazione (e dell’argomentazione): la sua forma-zione si può spiegare con la «sovrapposizione» (uso il termine 52 Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani.
53 Sottolinea il «carattere bilaterale» dell’interpretazione G. ZAGREBELSKY, La legge, cit., 170 ss., il quale giustamente insiste sulla differenza tra il «fatto» (o l’evento,nella terminologia qui adottata) e il “caso” (179), definendo il caso come «fatto inter-pretato» (197).
54 G. GORLA, L’interpretazione del diritto, Milano, 1941, 15.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) per sottolineare una qualche analogia con il principio di sovrap-posizione della teoria quantistica) delle due prospettive? Da un lato essa trae origine da un novero teoricamente limi- tato di «disposizioni», che costituiscono il «dato positivo» (sep-pure sottoposto, come si è detto, a procedure di selezione che di-pendono dall’attività dell’interprete); dall’altro, quel «dato posi-tivo» è capace di esprimere potenzialmente tante norme quantisono i «casi» a cui i giudici devono «applicarlo». Ma i «casi»,come si è detto, non sono gli «eventi» che si producono nelmondo reale, ma le ricostruzioni che l’interprete ne fa attraversola qualificazione (la «concettualizzazione» e l’«astrattizzazione»di cui parla Gorla): sullo scarto tra «evento» reale e rappresenta-zione giuridica del «caso» si insinua il distinguishing e quindi lapossibilità di produrre una nuova regola del caso (senza sconfes-sare il precedente). Il che significa che la regola del caso fissa il«punto di diritto»; ma non si tratta di un punto geometrico, perdefinizione indivisibile («ciò che non ha parti», secondo la defi-nizione di Euclide55), bensì di un «punto materiale», che ha unapropria massa e può ulteriormente suddividersi assumendo unmaggior grado di definizione, ossia «distinguendo». È quel pro-cesso di incorporazione del lemma nel teorema, così efficace-mente descritto da Tribe e Dorf56, dove il teorema è la ratio de-cidendi con cui la sentenza risponde alla domanda «come s’inter-pretano i testi e le loro disposizioni in relazione al “caso” inquestione?», il lemma l’eccezione al precedente provocata in se-guito dal distinguishing. Man mano che si divide, la regola giuri-dica perde estensione, e quindi «energia normativa» (perché siriferisce a fattispecie sempre più ristrette e specifiche): però di-viene anche parte di una sequenza normativa, di un sistema diprecedenti che si rafforza anche attraverso l’incorporazione deilemmi. Forzando la metafora quantistica, potremmo dire che dauna certa prospettiva nel comportamento di queste «particellenormative» sbiadisce l’immagine corpuscolare e diventa preva-lente la prospettiva ondulatoria.
55 F. ENRIQUES, Punto, in Enc. it. Treccani, XXVIII, 548 s.
56 On Reading the Constitution, cit., 119 ss.
«Shut up and calculate»? Per una conclusione non scettica La massima citata nel titolo di questo paragrafo conclusivo è solitamente attribuita a Feynman è ben sintetizza l’opzione perun’«interpretazione di ordine zero» assai diffusa trai fisici: lameccanica quantistica è impossibile da spiegare teoricamente,però funziona benissimo, per cui usiamola senza troppe do-mande. Ma non è a questa conclusione rinunciataria e scetticache vorrei approdare.
La fisica dei quanti è caratterizzata dal dualismo onda/parti- cella: la coesistenza di due modelli alternativi di rappresenta-zione non trova una spiegazione teorica. Una entità può com-portarsi a volte come un’onda a volte come una particella, percui «abbiamo a che fare con visioni del fenomeno contradditto-rie ma complementari, che solo assieme offrono una generalizza-zione naturale del modo di descrizione classico». Le due visionisono mutualmente esclusive (l’osservazione di una proprietà pre-clude l’osservazione dell’altra57), e sono complementari58.
Come si è visto, anche ai problemi dell’interpretazione giu- ridica si può applicare una visione «corpuscolare» e una «ondu-latoria»: la prima descrivere come si generano le «norme delcaso» e come esse si moltiplichino, la seconda ci indica la stradadi un andamento «sistemico» del complesso delle norme pro-dotte dagli interpreti, secondo un struttura complessiva che,come l’onda in fisica, ha un andamento «misurabile». Del perchéciò accada vi sono spiegazioni diverse, ognuna delle quali coglieun profilo del fenomeno. Può valere l’analogia del chain novel diDworkin59, che vorrebbe rappresentare il modo con cui le deci- 57 N. GUICCIARDINI, G. INTROZZI, Fisica quantistica. Una introduzione, Roma, 2007, 175 ss.; la citazione riportata nel testo è tratta da D. MURDOCH, Niels Bohr’s phi-losophy of physics, Cambridge, 1987.
58 Secondo la nota definizione di ‘complementarietà’ fornita da Bohr «the quan- tum postulate forces us to adopt a new mode of description designated as complementaryin the sense that any given application of classical concepts precludes the simultaneoususe of other classical concepts which in a different connection are equally necessary forthe elucidation of phenomena».
59 Law as Interpretation, in 60 Tex. L. Rev. (1981-1982), 542 ss.; Law’s Empire, tr. it. L’impero del diritto, Milano, 1989, 215 ss.
ORDINE DELLE NORME E DISORDINE DEI CONCETTI (E VICEVERSA) sioni dei giudici si collegano (e si devono collegare) ai precedentidando luogo ad una giurisprudenza sequenziale: ipotesi per altromolto criticata, anche nel suo riferimento letterario60, e (nella suacomponente descrittiva) solo in parte sostenibile alla luce delleverifiche empiriche61. Può valere la spiegazione di MacCormick62in termini di «congruenza normativa» quale regola deontologicache guida i comportamenti dei giudici. Può valere infine l’ormaidiffusa ipotesi della «comunità degli interpreti», la cui autoritàseleziona le interpretazioni e le tecniche argomentative accredita-bili e a cui i giudici partecipano «by virtue of their office»63. Op-pure potremmo spiegare il fenomeno ricorrendo alle metaforedella «forza gravitazionale» che i precedenti – e i principi su cuisi appoggiano – esercitano sulle decisioni successive64 o della«curvatura dello spazio» che essi genererebbero65.
Insomma, la giurisprudenza mostra un andamento statistico che molto spesso polarizza le risposte dei giudici a un determi-nato problema lungo percorsi sufficientemente coerenti, of-frendo una probabilità più o meno elevata di prevederne l’esito.
Ma la spiegazione di ciò si può ritrovare in considerazioni di tiposociologico, psicologico, istituzionale, non all’interno della teoriadelle fonti né all’interno della (sola) teoria dell’interpretazione odell’argomentazione (poiché sarebbe comunque rinviato a sog-getti «altri» il compito di sorvegliare e avvalorare le tecniche in-terpretative o argomentative impiegate dal singolo giudice). Se lafisica ha rinunciato ad una spiegazione deterministica della na-tura, forse anche noi giuristi potremmo far senza una spiegazionedeterministica della «applicazione delle leggi». E soprattutto po- 60 Cfr. S. FISH, Working on the Chain Gang: Interpretation in Law and Literature, in 60 Tex. L. Rev. (1981-1982), 562 ss.
61 Cfr. S.A. LINDQUIST, F.B. CROSS, Empirically Testing Dworkin’s Chain Novel Theory: Studying the Path of Precedent, in 80 N.Y.U. L. Rev. (2005), 1156 ss.
62 La congruenza nella giustificazione giuridica, in N. MACCORMICK, O. WEINBER- GER, Il diritto come istituzione, Milano, 1990, 335 ss.
63 O.M. Fiss, Objectivity and Interpretation, in 34 Stan. L. Rev. (1981-1982), 739 64 Cfr. R. DWORKIN, Taking Rights Seriously, cit., 211 ss.
65 Cfr. L.M. TRIBE, The curvature of constitutional space, cit.
tremmo evitare di cedere alla tentazione di convertire tutto ciòche influisce su quest’ultima in una «teoria delle fonti» che,quanto più cerca di includere in sé i fattori che incidono sul pro-cesso di interpretazione/applicazione del diritto, tanto meno ri-sulta utile alla sua spiegazione, venendo anzi meno al suo fonda-mentale compito di guidarci nella selezione di ciò che è diritto eciò che non lo è.

Source: http://www.robertobin.it/ARTICOLI/Estratto%20TQ.pdf

2003-241.aug

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